La validità di una clausola di non concorrenza con la formulazione generale “jeder konkurrenzierender Tätigkeit” (“ogni attività concorrenziale”).

La società B SA, attiva nell’ambito della torrefazione del caffè e del commercio di vari generi alimentari con sede nel Canton Lucerna, ha assunto A come assistente di marketing con una percentuale lavorativa del 50%.

Il contratto prevedeva una clausola di non concorenza della durata di 3 anni con una pena convenzionale di CHF 30’000.— in caso di violazione. Quanto alle specificità dell’attività coperta dal divieto, la clausola recitava testualmente “jeder konkurrenzierender Tätigkeit”, (“ogni attività concorrenziale”).

Il 28 luglio 2014 il datore di lavoro ha disdetto il contratto, con effetto al 31 ottobre 2014.

Dal 1 novembre 2014 A è stata assunta presso la C Sagl, società di catering attiva nella vendita e commercio di caffè e altre bevande calde.

B SA ha avviato una procedura giudiziaria nei confronti di A per violazione della clausola di non concorrenza, reclamando il pagamento della pena convenzionale. Il tribunale di prima istanza ha respinto le richieste del datore di lavoro, non ritenendo adempiuti i presupposti di cui all’art. 340 cpv. 2 CO concernenti la validità della clausola. Il tribunale d’appello del Canton Lucerna ha ribaltato tale decisione, ritenendola valida, considerando in particolare che la lavoratrice aveva conoscenza della clientela e di segreti di fabbricazione inerenti il precedente impiego e che la sua nuova occupazione era atta a procurare un danno alla B SA.

Adito con ricorso in materia di diritto civile dalla dipendente, il Tribunale federale ha esaminato la validità della clausola sotto il profilo dell’attività concretamente coperta dal divieto, cercando di chiarire, sulla scorta della giurisprudenza pregressa e della dottrina, se l’espressione “ogni attività concorrenziale” possa ritenersi adeguata alla luce delle condizioni di forma poste dall’art. 340 CO e dall’art. 340a CO.

La Corte ha posto in evidenza come anche nel caso di atti giuridici sottoposti ad esigenze di forma, quale è il caso della clausola di non concorrenza, la volontà delle parti deve essere determinata in base ai principi generali. In relazione alla validità della clausola, il Tribunale ha ripreso la giurisprudenza in cui le clausole con riferimenti generici erano state ritenute valide (per esempio nella DTF 130 II 352 e nella DTF 92 II 22).

La ricorrente ha chiesto in sostanza un cambiamento di prassi rispetto alla summenzionata giurisprudenza, ritenendo insufficiente la formulazione “ogni attività concorrenziale” alla luce delle esigenze poste dall’art. 340 e dall’art. 340a CO.

La Corte ha effettuato una lunga disamina delle opinioni dottrinali divergenti in merito. Alcuni autori ritengono che un divieto di concorrenza con una formulazione generale non sia di principio nullo, ma che possa essere limitato secondo l’art. 340a cpv. 2 CO. Altri sostengono invece che delimitare con precisione limite temporale, luogo e oggetto dell’attività potenzialmente concorrenziale sia un presupposto oggettivamente significativo coperto dall’esigenza della forma scritta. Se così non fosse, il datore di lavoro potrebbe lasciare aperte molte porte quanto all’attività coperta dal divieto senza mettere in pericolo i propri interessi. Tuttavia l’Alta Corte ha sottolineato che la ricorrente non ha portato alcuna opinione dottrinale che escluda esplicitamente la formulazione “ogni attività concorrenziale”. Di conseguenza non vi sarebbero motivi a giustificazione di un cambiamento di prassi giurisprudenziale. L’attività coperta dal divieto parrebbe sufficientemente determinata, rispettivamente determinabile secondo i metodi di interpretazione generale dei contratti. Sia l’azienda C Sagl che l’attività svolta da A erano concorrenziali rispetto al precedente datore di lavoro, perciò la questione a sapere fin dove debba essere specificata nella clausola l’attività coperta dal divieto è stata di fatto lasciata aperta.

Tuttavia il Tribunale federale ha per finire parzialmente accolto il ricorso, nella misura in cui non erano sufficientemente dimostrati la conoscenza della clientela e dei segreti di fabbricazione presso il precedente datore di lavoro.

La sentenza può lasciare qualche dubbio visto il mancato cambiamento di prassi giurisprudenziale. In effetti una formulazione così generale della clausola lascia un margine molto ampio al datore di lavoro per contestare la nuova attività del dipendente. In aggiunta, i tribunali rimangono nell’impossibilità di valutare il carattere eccessivo della clausola, perlomeno per ciò che attiene strettamente all’occupazione coperta dall’interdizione. Appare dubbio infine imporre per legge l’esigenza della forma scritta per poi permettere al datore di lavoro di coprire con un divieto di concorrenza un ventaglio di fatto indeterminato di occupazioni.